Paris 2001 / Un’incantesimo collettivo

inserito il 1 Febbraio 2013
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Stamattina pensavo ad una storia che ho letto nel 2001, quella di Amour.

Comincia nel 2001.

Parigi è ancora sotto “l’ effetto Amelie”. La gente circola per le strade aspettandosi che dalla macchina per le fototessera esca al suo passaggio il viso di cui s’ innamorerà, che sull’ asfalto quella stessa persona abbia disegnato il percorso per raggiungerla.

Ed ecco che, improvvisa, compare la scritta Amour. è sulla serranda di un giornalaio, sulla panchina di un giardino, sul muretto accanto al canale, ma soprattutto sui marciapiedi. Sempre uguale e inconfondibile: inclinata, gentile, sottolineata. Con un punto alla fine, come se non esistesse possibilità di replica. E’ tracciata con una vernice cancellabile, ma chi la trova preferisce in genere lasciarla: decine di auto cominciano a portarla in giro, ciascuna attira migliaia di sguardi al giorno. Ogni parigino vede la scritta almeno una volta. E si chiede che cosa rappresenti. Si parla di pubblicità, di un logo che precede la commercializzazione di un prodotto, del nuovo film con Audrey Tatou. Su Internet appaiono mappe con i luoghi in cui è possibile leggere Amour. Il quotidiano Humanité scrive: «è una forma di religione. La ripetizione ossessiva di qualcosa di insignificante ne determina il fascino. In questo modo l’ arte inventa la realtà». Un altro quotidiano, Libération, vola più basso e, seguendo le tracce sul marciapiede, arriva all’ autore delle scritte, il gigante seduto di fronte a me: Jean Luc Duez, 55 anni, grafico pubblicitario, disoccupato, deluso.

Viene fuori che Duez è stato lasciato da una donna che amava, dopo due anni di relazione. Per riconquistarla ha cominciato a scriverle Je t’ aime~ sui muri lungo il percorso da casa all’ ufficio. Nient’ affatto intenerita, lei si è rivolta al giudice e ha ottenuto un’ ordinanza restrittiva che impedisce i graffiti d’ affetto. è lì che Duez passa dal particolare al generale, dai confini senza mistero dello specifico a quell’ oceano di possibilità che è l’ insignificante.

Comincia a uscire ogni sera a mezzanotte con il suo pennarellone bianco e si prescrive una posologia dell’ amore: scriverlo cento volte, due per ogni strada, possibilmente negli angoli, dove l’ occhio cade e il piede non calpesta. Fa dei consigli del giudice («non toccare la proprietà privata») una strategia motivata: «Il marciapiede è l’ ideale perché occorre inchinarsi per scriverci e amore è umiltà». Genera entusiasmi: «Chi mi coglieva sul fatto sembrava aver visto Babbo Natale. Ho ricevuto regali, sorrisi, due persone mi hanno detto che ho salvato loro la vita».

(cit. Gabriele Romagnoli, Repubblica)

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