La fine di un impero

inserito il 24 Luglio 2012
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Stamattina ero da un cliente che conosco da quasi 10 anni.
Di loro il Ragioniere mi raccontava che erano grandi azionisti del Banco Ambrosiano, e che Calvi andava da loro a Giussano a rendere conto.
Io li ho conosciuti quando queste leggende erano ormai lontane.

In 10 anni ho visto assottigliarsi la loro potenza, di pari passo con gli uffici.
Impossibile dimenticare la hall dal soffitto altissimo – magnifica -, in puro stile anni ’70, in un angolo della quale una impettita centralinista accoglieva i visitatori e rispondeva al telefono (annotando tutto a matita).
Di quell’architettura mi affascinava tutto: gli alberi secolari al di là dei vetri, la vista sulla fabbrica (anch’essa armoniosa), la scalinata di bronzo che saliva al piano di sopra, arabescata, i quadri di arte moderna sparsi qua e là, le grandi vetrate / un insieme stupendo eppure così fuori posto, come le rovine di una città del passato abitate da ignari.

Che fossero rimasti nel passato lo sentivi subito: troppa carta, troppa poca dimestichezza con l’informatica, voci basse, occhi quasi sgomenti.

La decadenza di un impero ti ricorda quanto tutto un mondo possa tramontare, anche se pareva impossibile; il settore tessile italiano è in crisi da anni, ed è ingenuo immaginarsi una nuova epoca di splendore.

Il presidente era lì, quasi immutato in 10 anni, la voce inconfondibile, la solita mania di far scrivere tutto da segretarie impaurite, come se anche la più piccola decisione avesse il diritto di diventare un comunicato stampa (o il verbale di un’assemblea solitaria).

Lo guardavo ammirata e incuriosita, chiedendomi dove avesse imparato, da chi. E se fosse lui, realmente, l’artefice del passato e del presente.
Gli ho chiesto dove fossero i figli, mi ha risposto che tutti lavorano in azienda. Negli uffici – ora assai più modesti e spostati vicino alla fabbrica – non li ho visti. / Questo mi piace di me: io non ho paura. Ho rispetto per questi grandi ‘vecchi’, ma non paura: li considero della mia razza /

Signore, mi aveva promesso il saldo di tutto e così è stato: persino a costo di tirar fuori di propria tasca i soldi di una fattura intestata ad una società del gruppo non più attiva.

E’ un modo di essere, un’etica: quello che per alcuni è normale, per i furbi che oggi vanno per la maggiore è stupido. Io furba non sono e non voglio esserlo: e il gesto del Dott. Paolo che tira fuori i soldi dal suo portafoglio non sarà dimenticato.

categoria: // In direzione contraria

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